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Rowan Mainstorm
Nato nella grande città di Tsurlagol nel Vast, da una famiglia di modesta classe sociale, per forza di cose Rowan si è sempre trovato con un’arma in pugno. Sin da piccolo.
Tsurlagol, infatti, è la città più meridionale del Vast, da qui il nome con cui è conosciuta: Porta dell’Inaccessibile Oriente. Tsurlagol detiene, probabilmente, il triste primato di città più saccheggiata della regione. Le rovine di una dozzina di città precedenti fungono da fondamenta per la grande città attuale. Per via di questo retaggio, il sistema di guardia cittadina è molto rigido e specializzato.
Lo stesso padre di Rowan, militò nella guardia cittadina, andando a ricoprire la carica di supervisore dell’Ala Est della Prima Cinta.
Rowan nacque qui, in una città caotica ma militarizzata, dove la gente viveva sul ‘chi và là’ e la diffidenza era la più fedele compagna di vita.
Con la madre intenta a seguire due lavori e sei marmocchi, Rowan creebbe in maniera spartana, nelle strade e con sempre in pugno una spada di legno e il moccio al naso.
I suoi occhi castano chiaro si fermavano sempre, quasi incantati, a guardare i drappelli di milizia cittadina che pattugliavano i vicoli della prima cinta muraria.
Il padre si dispensò dall’allevare i figli in cultura ed arte, piuttosto istruì nella disciplina militare del combattimento all’arma bianca Rowan ed i suoi due fratelli minori, Fergon e Torwin, robusti e violenti; mentre Anthea, sorella primogenita, e i suoi due fratelli maggiori, Adrian e Metin, all’arte del tiro con l’arco, in quanto più slanciati e dinocciolati.
Fu così che all’età di 15 anni, Rowan raggiunse i suoi fratelli nella milizia cittadina di Tsurlagol. Seguì un rigido addestramento militare, ma la disciplina gli stava stretta dato il carattere forgiato tra le polverose e caotiche vie della prima cinta. Fu per questo che non fece alcuna carriera.
Passò qualche anno come sguattero, successivamente venne assegnato alle ronde esterne, il ruolo più infame. Nelle numerose schermaglie con le bande di orchetti delle pianure, non si distinse mai, anche se portò sempre a casa la pelle. Unico suo credito era quello di essere sempre in prima fila durante uno scontro.
Rowan amava combattere, ed i suoi rudimenti impartiti dal padre mescolati alla sua furia lo rendevano un avversario mediocre.
Fu diversi anni dopo che arrivò il giorno della svolta.
Era il vespro di un pomeriggio mite. La solita ronda, il solito percorso, i soliti compagni, la solita monotonia.
Fu durante il rientro, che qualcosa andò storto. Un carro di bestiame si era impantanato a ridosso della boscaglia. Ligi al dovere, Rowan ed i suoi commilitoni, si diressero verso il carro. Il ronzino era evidentemente inquieto e del conducente nemmeno l’ombra. Inutile dire che la cosa insospettì il drappello. Mentre due sorvegliavano il carro abbandonato, il resto s’inoltrò nella macchia litorale, alla ricerca dello sventurato. Tutti si aspettavano la solita incursione di orchetti ma non fu così.
Dopo una decina di minuti di cammino, una rozza freccia con impennaggio di piume di corvo, s’impiantò nella grogiera di cuoio del compagno al fianco di Rowan. Gli occhi dell’uomo, sotto l’elmo si rivoltarono lasciando solo il bianco, esanime cadde sulle ginocchia, sprofondando nel fango. Il silenzio non fu rotto da urla ma da una scarica di frecce della stessa natura, provenienti da tutte le parti. Nessuno restò illeso, i più fortunati, se la cavarono con un paio di dardi nelle braccia o nelle gambe. Rowan si guardò attorno, più frastornato che impaurito, vide altri due compagni con il viso rivolto nella fanghiglia, gli altri in piedi ma anche loro feriti. Il suo l’avanbraccio sinistro, nonostante l’intreccio di maglie, fu trapassato da parte a parte da una freccia. Stringendo i denti spezzò il fusto ed estrasse il residuo in legno e penne, ciononostante, il braccio era inutilizzabile. Fecero solo in tempo a raggrupparsi, spalla contro spalla, prima di subire l’assalto di quelli che non erano semplici orchetti bensì orchi neri delle Foreste Grige poco distanti. Il combattimento fu impari sin dall’inizio. Un uomo crollò, divelto dalla spalla al basso ventre da una poderosa ascia bipenne. Gli altri resistettero nella speranza che i due uomini lasciati di guardia al carretto accorressero in loro aiuto, ma ciò non avvenne. L’imbrunire era prossimo, Rowan e i pochi altri resistettero come poterono.
Senza nemmeno poter sollevare lo scudo sul quale era inciso il sacro simbolo di Tempus, Rowan ed i suoi pochi compagni rimasti indietreggiarono, spinti nella fitta macchia. Caddero inesorabilmente uno dopo l’altro. Abbandonarono le armi e batterono in ritirata, disperdendosi a coppie.
Rovi e rampicanti rallentarono la loro fuga, finché un’ennesima scarica di dardi li mise con le spalle al muro.
Nathan, il compagno di Rowan rimasto con lui, gemeva per il dardo che gli trapassava il ginocchio dall’incavo e gli spuntava fuori con la rotula penzolante sulla punta.
Rowan vomitò di lato. Nel sottofondo della macchia si sentivano le urla dei suoi compagni, macellati dai loro inseguitori. Una bieca risata irruppe dai cespugli, dai quali uscì in enorme orco grigio scuro e dall’occhio guercio. Sulla spalla portava fieramente una grande balestra scarica. Disarmato, Rowan tentò una carica a testa bassa, se doveva morire, per lo meno l’avrebbe fatto combattendo. Il suo attacco fu inefficace, quasi ridicolo. Venne sbalzato indietro dall’imponente massa dell’orco, ben più alto di lui. Nathan, in evidente stato di shock da dolore, mugugnava strani versi mentre lacrime e muco si mescolavano sul suo viso. La vista di quel guerriero, frantumato nel corpo e nello spirito, ispirò Rowan a pregare perché Tempus gli desse la forza di morire combattendo. L’orco, di certo non impietosito, con il calcio della balestra sfondò la bocca di Nathan, il quale, dopo aver grondato sangue e denti spezzati per qualche istante, spirò. Cieco di rabbia, Rowan tentò un ennesimo attacco, con l’unico braccio sano, strappò dal ginocchio del compagno d’arme il dardo orchesco che ritornò al suo possessore diritto nell’occhio buono.
Le zanne dell’umanoide pellenera schioccarono in un grido iracondo mentre la sua mano si serrò alla gola di Rowan. La presa era d’acciaio. Il giovane uomo si dimenò, imprecò a denti stretti ma nulla poté contro l’eccezionale forza della creatura. La vista lentamente iniziò ad annebbiarsi.
-Tempus. Dammi la Forza- pregò.
Le unghie sporche del bestio penetrarono la grogiera in cuoio e la sua carne di conseguenza.
- Tempus. Dammi la Forza- supplicò.
Gli occhi di Rowan si rivoltarono, pronti a chiudersi per sempre.
-Dammi …-
La Forza arrivò. Come un vento caldo penetrò nelle ossa del giovane. Le ferite smisero di pulsare di dolore. I muscoli del collo, delle braccia e delle gambe si gonfiarono. I denti si serrarono e la vista ritornò in quella boscaglia di notte. Non c’erano luci, ma poteva sentire l’olezzo dell’orco a pochi centimetri da lui, il suo ringhio grottesco e ruvido. Era cieco ma in forze, il dardo non aveva che penetrato la superficie dell’orbita. La mano buona di Rowan tastò, annaspante attorno a sé, finché non afferrò una fredda lama grezza, alla cintura dell’incursore. Senza pensare, con il puro istinto e la forza conferitagli dal dio delle battaglie, strappò dalla guaina l’arma, la impugnò saldamente e con un ampio gesto, infuso dalla strepitosa forza del dio, spaccò il cranio glabro e cieco dell’orco, il quale non mollò la presa finché con tre accettate, il possente braccio non venne separato all’altezza del gomito dal resto del corpo.
L’enorme creatura crollò in una densa pozza di sangue nero e maleodorante. Pezzi di cervello ed osso intaccarono il volto di Rowan, il quale, con ben salda in mano l’ascia, si rannicchiò sfinito nell’incavo di un grosso albero. I suoni e gli odori si mescolarono tra di loro. La forza divina sfumò, lasciandolo inerme e febbricitante.
Solo due giorni dopo, i cani degli scout della guardia cittadina, fiutarono il suo corpo, coperto di sangue orchesco e umano rappreso. Lo estrassero dall’incavo, avvolto nel suo mantello rosso con il sacro simbolo di Tempus e lo portarono immediatamente al tempio del dio.
Rowan non fu mai un grande guerriero. Era solo un po’ più robusto della media. Ma scoprì di avere in sé un grande potere sopito e riscoperto dalla fede nel Signore della Battaglia.
Fu così che Rowan Mainstorm abbracciò appieno la fede del Martello dei Nemici, Tempus.
Da anni egli porta il simbolo inciso sulla sua ascia da battaglia del dio in battaglie, campagne e spedizioni militari, proteggendo gli alleati, sconfiggendo i nemici e portando equilibrio e giustizia contro i barbari infedeli del Vast.