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Storia Personaggio: Ulth

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2016 08:30
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Post: 894
Età: 41
Sesso: Maschile
18/10/2016 08:29


FABIO:

Ulth

Sono Ulth, della tribù delle lame Cremisi, nato da Iath e da Lathe. Alcuni chiamano il mio mondo Munsk, ma noi lo chiamiamo Askh Mekhta, “Madre famelica” nella vostra lingua, perchè anche se ci da la vita non aspetta che l’occasione per divorarci. Le piante, gli animali, gli insetti, tutto è letale qui: voi convivete con le vostre patetiche mosche, su Munsk le mosche ti inniettano le uova nel corpo e ti fanno crescere un nugolo di insetti carnivori sotto la pelle.

Per sei mesi all’anno il nostro mondo è coperto di una giungla fittissima, nei successivi sei la giungla avvizzisce e si trasforma in un deserto torrido per poi rinascere violentemente nel giro di poche settimane.

Sono il secondo di tre fratelli, ma solo io sono tornato vivo dal rito di passaggio alla maturità. Solo io sono stato capace di sopravvivere nella foresta sacra e di cacciare il Vrak invece che rimanerne preda. Ho vissuto 18 anni nella giungla e nei deserti, fino a quando è arrivato il grande carro infuocato dalle stelle. Io e altri 38 fratelli siamo stati eletti per combattere tra le stelle, per servire nel firmamento al fianco del Dio Splendente. Avremmo dovuto prestare fedeltà a Mandraian, l’uomo in armatura dorata che accompagnava il nostro capo tribù. E così è stato.

Abbiamo lasciato Askh Mekhta sul carro di fuoco. Ci hanno trasportato fino a un enorme palazzo nel cielo dove è cominciato il nostro addestramento. Ci hanno dato armi senza lame, ci hanno fatto indossare corazze di metallo. Alcuni dei miei fratelli hanno preferito continuare a combattere con le nostre lame tribali.

Sulla nave c’erano altri soldati; molti erano più piccoli di noi, più fragili. Era difficile rispettarli. Alcuni hanno detto una parola di troppo e sono finiti a terra con un braccio rotto o la pancia squarciata. C’era anche una unità di soldati della tribù del Falco Artigh. Con loro una volta scoppiò una rissa che costò tre morti e nove feriti. Per sedarla dovettero aspirare tutta l’aria dalle stanze dove combattevamo. Ma noi tutti eravamo forti e nessuno morì per così poco.

Dopo due mesi di addestramento, l’uomo in armatura ci ha chiamato a raccolta. Ci ha detto che quello era un grande giorno, perchè avremmo finalmente provato il nostro valore di fronte al Dio Splendente, che ci avrebbe osservato dall’alto del suo trono dorato. Salimmo sul carro di fuoco sotto gli sguardi degli altri soldati delle unità. Penso fossero contenti di liberarsi di noi.

La discesa fu turbolenta come un viaggio sulle canoe del fiume Raisk. Arrivammo su un pianeta coperto di foreste, in qualche modo mi ricordava casa. Atterrammo in un villaggio costituito da costruzioni basse e tozze che chiamavano moduli prefabbricati coloniali. La gente comune ci guardava con paura.

Il giorno dopo, Mandraian ci condusse nella foresta. Ci disse che vi era un tempio maledetto in essa, un luogo che il Dio Splendente doveva distruggere. Noi saremmo stati il suo maglio. Seguimmo il nostro capo nella foresta. Gli odori erano nuovi, i richiami degli animali diversi, ma tutti noi sapevamo riconoscere il pericolo. Così, due giorni dopo, i nemici del Dio Splendente non riuscirono a coglierci di sorpresa. Piombarono dagli alberi senza preavviso, gridando urla di battaglia incomprensibili. Erano esseri umani fusi con il corpo di bestie, orribilmenti deformi. Alcuni soldati scapparono e furono dilaniati, ma il resto combattè e scacciò quell’orda con la furia delle nostre lame.

Avanzammo lasciando una scia di sangue nostro e dei nostri nemici per due giorni, fino ad arrivare al tempio: pareva un carro di fuoco precipitato dal cielo, incuneato ad angolo nel terreno. Tutto intorno ad esso le piante erano morte o deformate. Il relitto vomitò nuove aberrazioni: tutte in origine dovettero essere umani.

Li affrontammo con una barriera di laser, spade e asce. Non sembravano temere la morte mentre si avventavano su di noi; in pochi attimi ci furono addosso. Alcuni brandivano armi, altri non ne avevano bisogno. Mandraian ci incitò a non desistere mentre anche lui si univa alla mischia frantumando i nemici con un martello che crepitava di energia benedetta dal Dio Splendente. In breve la radura si trasformò in un tappeto di morti.

Mandraian radunò i pochi rimasti intorno a se e ordinò di avanzare verso il tempio. Lo seguii falciando i nemici con la mia spada, l’unica arma utile che mi era rimasta e comunque quella che più rispettavo. Eravamo vicini alla soglia quando spuntò un ultimo uomo. Sarebbe stato normale se non per le sue orbite, nelle quali ardeva letteralmente il fuoco. Mi avventai su di lui: gli bastò un cenno della mano per scagliarmi a terra spezzandomi le gambe. Così fui costretto ad assistere da spettatore all’ultima battaglia titanica tra Mandraian e lo stregone.

Mandraian avanzò senza esitazioni seguito dai pochi altri che erano rimasti. Lo stregone puntò verso di loro una verga e il fuoco divorò il gruppo. Udii le grida agonizzanti dei miei fratelli, le loro carni torturate dalle fiamme. Dall’inferno contorto uscì solo Mandraian, i capelli ridotti a cenere, la sua armatura brunita. Prima che lo stregone potesse stupirsene gli fracassò il cranio con il martello, ponendo fine alla battaglia. Fu allora che capii veramente il valore di quel guerriero e perchè era giusto seguirlo.
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18/10/2016 08:30

DELU:

Bella Fabio Grassie!
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