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IL Cammino Del Male

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2016 07:03
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Post: 894
Età: 42
Sesso: Maschile
21/09/2016 07:02

STE:

L’Amn
L’Amn è un terra di mercanti, situata sulle coste delle terre dell’Intrigo. La gente è ossessionata dalla ricchezza. Per la gente dell’Amn il denaro viene prima di tutto, nelle altre regioni del Toril esso è il vettore che porta a Fama e Potere, ma non nell’Amn. Qui, la ricchezza, è fine a sé stessa. Dare sfoggio della propria ricchezza attraverso azioni benefiche è cosa comune, quasi socialmente obbligatoria. Ed è grazie a queste ingenti donazioni che l’orfanotrofio di Esmel-abbath, piccola ma prospera cittadina sul Lago Esmel, restava in piedi. Peccato che il direttore, Akhar Emith, spendesse i soldi delle donazioni in abiti eleganti per lui e le inservienti, per abbellire le sale aperte al pubblico e la facciata frontale dell’orfanotrofio. Quel poco che restava, andava nel cibo destinato agli orfani. Pane, acqua, frutta ed aceto che, allungato con l’acqua, disseta maggiormente, dicono. Fu in questo stabile che, una fredda notte in cui spirava brezza dal lago, venne lasciato sulla scalinata da una figura ammantata un pargoletto in fasce. Il pupo venne prontamente raccolto e annotato nell’elenco dei bambini, andando ad incrementare la somma di denaro sovvenzionata dal governo cittadino per gli orfanotrofi. Una piastrina di metallo sul braccialetto riportava il suo nome: Aadil.

Vita d’istituto
Con gli anni Aadil crebbe, un ragazzetto di otto anni, pelle olivastra, capelli neri come il piumaggio dei corvi e due occhi verdi come le acque limpide del Lago Esmel. La sua costituzione era decisamente inferiore a quella degli altri suoi camerati ma quello che perdeva in forza, lo sopperiva con l’agilità e la scaltrezza. Il cibo in orfanotrofio era quello che era, poco e pessimo. In compenso, erano tutti sempre molto curati nell’aspetto. Un bel vestito è segno di ricchezza dell’istituto, una pancia piena, passa inosservata. Fu all’età di otto anni e mezzo che Aadil, compì il suo primo furtarello al mercato della piazza centrale. Ben sette mele glassate dalla bancarella del vecchio Tarek, detto il Guercio. Da quel giorno, Aadil scoprì la sua vocazione, il furto.
Invisibile
Col tempo le sue imprese si fecero sempre più ardue, volte solo a compiacere sé stesso e farsi bello davanti agli altri ragazzini dell’orfanotrofio. All’età di 11 anni, Aadil divenne un’istituzione. Ma giunse anche il tempo della Methullà, ovvero l’età in cui un bambino non è più considerato tale dal governo cittadino e pertanto, non più fonte di guadagno per l’istituto. Gli vennero confiscati i vestiti, sostituiti con un paio di stracci logori donati probabilmente da una famiglia poco abbiente della periferia. Quindi, privato di qualsiasi suo avere, condotto alla porta dell’orfanotrofio. Una sola cosa restava ad Aadil, il suo talento.
Iniziò ad errare per le vie conosciute della città. Ma giunse la notte. Non si era mai trovato nelle strade di notte. Al tramonto, era sempre ritornato a casa, all’istituto, protetto a quelle mura e dal calore dei suoi fratelli. Per la prima volta, saggiò la temperatura della notte all’aperto, senza una coperta o quant’altro potesse schermarlo dal freddo di queste terre semidesertiche. Le vie desertiche, visuale ridotta, rumori di bottiglie rotte, le luci che uscivano dalla finestre delle locande. Si appoggiò ad una di queste, sbirciando dentro. Era una fumeria, un locale adibito al consumo dell’Oro Bruno, l’oppio. Restò per diverso tempo ad osservare finché i crampi dello stomaco non lo destarono dal suo torpore. S’incamminò nuovamente per le vie buie della città, guardandosi attorno. Poco lontano, due figure a cavallo venivano verso di lui. Inspirò profondamente e Aadil, iniziò a giocarsi le sue carte nella lunga partita della Vita.
In pochi mesi Aadil crebbe più che negli undici anni trascorsi in istituto. Viveva alla giornata, rubacchiando risorse prime al mercato e accaparrandosi qualche angolino rialzato nei vicoli oscuri della periferia su cui trascorrere la notte. Era uno dei tanti invisibili figli di nessuno che vivevano nell’ombra delle ricche botteghe. Le piccole risse che scoppiavano tra i ladruncoli di strada era all’ordine del giorno e Aadil imparò be presto che la forza bruta non era il suo forte. Sapeva schivare ma non riusciva mai ad assestare un colpo sufficiente da atterrare l’avversario, pe cui o lo prendeva per sfinimento o se la dava a gambe col maltolto. Fu in questo periodo vissuto nella periferia che una notte, venne svegliato da una fitta lancinante al braccio. Il suo corpo nervoso ed asciutto, scivolò sotto le gambe di colui che sembrava lo avesse colpito con un punteruolo o un lungo chiodo. Quando si rialzò, fece solo in tempo a schivare il secondo colpo che andò a scalfire lo straccio logoro che indossava. Il freddo pungeva tanto quanto la ferita nel braccio. Il silenzio venne rotto da una voce stridula, appartenente ad un ragazzetto poco più grande di lui . Alle parole seguì un secondo attacco, ma questa volta Aadil schivò e restituì il favore con un calcio al cavallo del suo avversario, che si accartocciò su sé stesso lasciando andare l’arma improvvisata. Aadil l’afferrò con una velocità ottenuta solo dopo anni di furti, gli ficcò il punteruolo nel palmo della mano e, dopo averlo riestratto, si dileguò nelle ombre lasciando il rivale, nemmeno visto in volto, a contorcersi dal doppio dolore.

Veleno
Passarono i giorni, Aadil cadde in preda ad una grave febbre, la ferita delle notti precedenti s’infettò, portandolo al limite delle sue forze. La vista si annebbiava progressivamente, la gola ardeva arida e la fronte, imperlinata dal sudore, raggiunse temperature insostenibili. Le sue gambe esili ad un tratto smisero di reggerlo. Cadde di faccia in un’anonima via polverosa dell’anonima periferia dell’anomia cittadina dell’Amn. La vita di Aadil era destinata a finire quel giorno, concludendosi probabilmente con un macabro funerale assistito da cani randagi ed uccelli spazzini. Fu quando cominciò a sentire i primi pungenti morsi dei corvi sulla pelle che qualcosa o qualcuno lo sollevò di peso, con poca fatica, essendo lui oltre che minuto, scheletrico. L’ultima cosa che vide prima di cedere al gelido buio fu un’insegna con scritto qualcosa “Arti A***” la seconda parola per lui era illeggibile, in parte per via delle sue condizioni, in parte per la sua pressoché nulla istruzione ricevuta all’orfanotrofio.
Il risveglio fu lento e doloroso. Le palpebre sembravano incollate tra loro da una crosticina giallastra, le lenzuola in cui si ritrovò erano ancora madide del suo sudore, le articolazioni gli dolevano da morire e così anche il braccio, segnato da un taglio lungo i cui lembi restavano uniti per mezzo di alcuni punti di sutura. La penombra non lo aiutava a capire dove si trovasse e le candele dalle fiammelle vibranti rendevano tutto più caldo e surreale. una voce gentile scosse il silenzio tombale della stanza, avvolta da pregiate vesti una sinuosa figura femminile si avvicinò al suo giaciglio, apparentemente improvvisato. La donna, mise la mano sulla fronte di Aadil lo spinse delicatamente di nuovo sul giaciglio . Passarono le ore, lente e monotone. La donna di tanto in tanto si palesava, portandogli qualche tozzo di pane imbevuto in latte di capra e miele. Pochi giorni furono sufficienti per fargli riprendere le forze. Aadil non aveva ancora proferito parola con la sua salvatrice. Nemmeno un grazie. La osservava, diffidente come una bestia selvatica, lei lo scherniva ma non calcava troppo la mano. Gli portava solo da mangiare e da bere qualche intruglio particolare. Alcuni giorni dopo Aadil riprese le forze, fu in grado di rialzarsi e camminare con il suo consueto passetto svelto. Giunse alla porta e la schiuse. Un penetrante odore dolce e pungente al contempo investì le sue nari, fece un passetto indietro ma ratto si abituò a quell’odore avvolgente e penetrante. Una litania nitida rimbalzava sulla cortina di fumo che per metà sino al soffitto aleggiava nella stanza. Camminando nella nebbiolina dolciastra si guardò intorno, corpi semisvenuti distesi su letti purpurei. Uomini di ogni genere e tipo, grassi e magri, ricchi e popolani, qualche non umano e nulla più. Si avvicinò incuriosito ad un tizio disteso quando, si sentì afferrare per un braccio con feroce vigore. la voce era distorta, rauca e altalenante. Con fredda paura Aadil si voltò, incontrando lo sguardo del nerboruto commerciante vestito di sola seta. disse l’uomo, tirandolo a sé con violenza mentre l’altra mano già frugava nei suoi pantaloni di raso che probabilmente la donna gli aveva sostituito. Dalla gola di Aadil non uscì parola, o suono alcuno. Il terrore l’aveva soggiogato. Proprio mentre l’alito dell’uomo iniziò a mescolarsi col suo accadde qualcosa di impensabile e sfuggente. Un lampo scarlatto colpì al collo grasso e flaccido l’uomo che ribaltò gli occhi all’indietro prima di lasciare la presa su Aadil e stramazzare sul letto come un ammasso di sterco caldo. Con occhi ancora sbarrati il ragazzetto fissò la schiumetta che fuoriusciva dalla bocca del porco. Poi distolse lo sguardo, spostandolo su ciò che l’aveva colpito. Era la donna. La sua salvatrice che, per la seconda volta, lo tirò fuori da una situazione compromessa. Nella mano aveva stretto un punteruolo finissimo, intriso di una sostanza bluastra. le domandò guardandolo con un sorriso beffardo. Aadil non disse nulla, degluttì e sgattaiolò via nell’altra stanza. Raccolse il lenzuolo, legandoselo addosso e fuggì dalla finestra senza dire nulla.

I Senzanome
Passarono i giorni dalla sua fuga, non ritornò in quel poso, non per paura ma per vergogna. Vergogna di avere abbandonato lì la sua salvatrice, per ben due volte, senza averle nemmeno detto grazie. Riprese la sua vita scostante, ingiusta e anonima ma con nel cuore un sentimento di vergogna e rivincita che lo spronarono a ripromettersi di saldare il suo debito con la donna una volta divenuto ricco.
Mesi dopo entrò in contatto con una piccola banda di periferia, si facevano chiamare “I Senzanome”. Erano una combriccola di giovani, organizzata alla bene in meglio, in cui vigeva la legge del più forte. Che ovviamente non era Aadil. Troppo gracile e troppo minuto. Inizialmente dava colpa alla sua vita sregolata e povera di cibo, tuttavia col passare degli anni si rese conto di essere proprio inferiore fisicamente. Abbastanza alto ma magro. Per sua fortuna, il cervello non gli mancava. Ripensò ogni notte alla donna, sua salvatrice, che stese quell’energumeno palla di lardo con un colpo repentino e quasi invisibile. Ripensò al punteruolo. Ripensò alla sostanza blu che solcava la punta. Ripensò alla sua infezione e a quanto l’avesse debilitato. Fu così che capì come sopperire alla sua mancanza di forza fisica. Lui era più veloce, era capace di sferrare velocemente pugni al corpo dell’avversario ma non riusciva mai ad avere la meglio sebbene assestasse più colpi del suo rivale. Fu così che iniziò a giocare con i liquidi, con quello che trovava in giro. Iniziò a studiare l’effetto dei veleni di piccoli animali quali serpenti, ragni e scorpioni sui tessuti di piccoli roditori. Imparò a suddividere i tipi di veleni naturali, a mescerli e studiarne anche i relativi rimedi.

Iura Rashad
Passò il tempo, anni, probabilmente, la sua destrezza nei furti in abitazioni di grandi mercanti era ormai riconosciuta in tutta la periferia. Bastava aprire una finestra, iniettare nel collo dei derubati una minima dose dei suoi veleni e al loro risveglio i preziosi erano magicamente svaniti. Volatilizzati. gli dicevano. gli dicevano. Per cui, prese una decisione. Raccolse i suoi averi, convertì il suo bottino in poche monete di platino e s’incamminò verso la Capitale, Athkatla. Sulla via s’imbatté sulla Traversa delle Fumerie. Con fare malinconico, si avvicinò alla “Arti Alchemiche”, era giorno, le tende tirate e il locale ancora chiuso. una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare, si voltò con fare felino e mise a fuoco in un frangente di secondo la figura della donna. Era ancora bella, sebbene qualche ruga solcasse il suo volto, gli sorrise con le sue labbra carnose, decorate di un rossetto scuro. Come al solito quando era in presenza di lei, Aadil rimase senza parole. Ci provò a parlare, sia chiaro, ma non ce la fece. Lei scoppiò in una risata argentina disse concluse, puntandogli un dito sul petto, all’altezza del cuore. Con sorpresa Aadil percepì una pressione innaturale, spropositata rispetto all’apparente forza che dava l’impressione di avere la donna. esordì, per la prima volta con lei, Aadil. rispose con un dolce sorriso la donna . Aadil scoppiò in lacrime mute. La donna gli pose una mano sulla gota e gli chiese . rispose . Una leggera lacrima sfiorò il bel viso di lei. sussurrò la donna, baciandolo prima di sparire dietro l’angolo.

La Capitale e Lo Scorpione
Aadil raggiunse la capitale Athkatla ripercorrendo il Fiume Esmel che collegava l’omonimo lago al delta che sfocia nel Mare della Spada. L’impatto con la metropoli fu forte. Ma durante questi vent’anni Aadil divenne sufficientemente forte da reagire a cotanta grandezza. Forzieri tracimanti, pellegrini boccaloni e borselli rigonfi di monete lo attendevano. Non passò molto tempo che iniziò a farsi riconoscere per la sua destrezza. La città era enorme, i soldi talmente tanti che sembrava non finissero mai. Iniziarono a chiamarlo “Lo Scorpione”, per la sua attitudine ad arrampicarsi sui muri e narcotizzare le sue vittime prima di derubarle. I successi resero Aadil sicuro di sé. Troppo. Dopo aver messo su un piccolo gruppetto di uomini, decise di organizzare un colpo ad una delle più grandi Fumerie di Athkatla: L’Oro Amaro. Erano centri nevralgici dello smistamento di oppio, la merce più pregiata in questa cultura, dominati dalle grandi reti criminali che si rivaleggiavano nell’ombra per il dominio delle Fumerie. In città, le maggiori Fumerie erano protette da guardie armate e all’interno possedevano una camera blindata in cui veniva custodito l’incasso e la riserva d’oppio ed altre droghe. Un singolo furto ad una di quelle camere avrebbe potuto sistemare dieci uomini per dieci generazioni. Tuttavia, un motivo per cui queste casseforti erano sicure, c’era. Ma ad Aadil, sembrava non importare. Lui era Lo Scorpione.

La notte dominava incontrastata sulla Capitale. Nove ombre nella notte scivolavano sui tetti, mescolandosi al fumo dei comignoli accesi o le bocche di sfogo di acciaierie o fumerie che costellavano il teatro urbano. L’insegna dell’Oro Amaro troneggiava sul quartiere. Le ombre fluttuarono da un tetto all’altro fino a raggiungere il loro obiettivo. La maschera argentata dello Scorpione fu solcata da un bagliore lunare prima di ripiombare nell’ombra. Gli occhi verdi del ladro emisero un lampo smeraldino di avidità e boria. Un gesto della mano, secco e impercettibile, precedette la dipartita delle otto ombre che lo seguivano. Sincronizzati, come note di una sinfonia perfetta, discesero lungo le pareti finemente impreziosite da statue e intarsi inneggianti la cultura dell’oppio. Giunti al limitare della zona d’ombra contrastante con le luci della via, a diversi metri dal suolo, le sei figure svanirono all’interno della struttura. Lo Scorpione, con un ultimo sguardo a Selune che veniva coperta da una nube passeggera, svanì in un muto attimo. L’interno della Fumeria era bene arredato. L’attico in cui si trovava era probabilmente la Suite, al momento ancora vuota. Esplorò i muri, ricoperti da una elegante tintura porpora ed adornati da arabeschi d’oro zecchino sul soffitto. Una lama di luce irruppe nel buio. La porta si spalancò e la figura dello Scorpione sembrò svanire a contatto con l’illuminazione che proveniva dal corridoio. Un vecchio grassone irruppe nella stanza, tenendo tra le mani una pipa maleodorante mentre nell’altra presa grassa una ragazza per metà già denudata. Il vecchio la gettò di peso sul letto e con feroce ardore le salì sopra, schiacciandola col suo peso. Tra le grida di disgusto e dolore, la ragazza dallo sguardo celeste portò gli occhi al soffitto, sul quale intravide un bagliore argenteo e poi più nulla. Un rivolo di sangue caldo stillò da entrambi i corpi. Sia il vecchio che la malcapitata sotto di lui, furono trafitti da una lunga punta di stocco, piantata in verticale dietro la nuca dell’uomo attaversandola così come, pochi centimetri sotto, la testa della femmina. Un bagliore frigido e asettico guizzò dietro la maschera che estrasse poi la sua arma, ripulendola sui vestiti dei due prima di rifoderarla. La porta si richiuse, calando l’ombra sulla grottesca scultura di morte. La figura dello Scorpione con precisione annichilì le fiammelle che illuminavano il corridoio. Procedendo adeso al muro, circospetto, giunse alle scale. Con balzi silenziosi raggiunse i piani inferiori. A giudicare dall’odore sempre più penetrante di fumo era vicino alla sala comune della fumera. Dei pesanti passi lo fecero scattare in una rientranza della parete che ospitava una finestra. La aprì e si dileguò lungo il corridoio, senza uscire dallo stabile. Sentì una voce bonfonchiare qualcosa sulle finestre aperte, gli avrebbe permesso di guadagnare qualche secondo prezioso per la fuga. Vide il pelleverde passare sotto di lui, assicuratosi ad una trave a testa in giù. L’energumeno era oltre che simile ad un grosso orso ma verde, armato fino ai denti. Un rumore di cedimento di un’asse, improvviso, che proveniva da una stanza vicina, allertò la creatura che senza indugi aprì la porta con violenza e con un ruggito si gettò all’interno della stanza. Pochi secondi e il sangue freddo dello Scorpione ebbero un cedimento quando vide una figura esile avvolta di nero schiantarsi contro il muro del corridoio sulla parete opposta alla porta aperta. In una frazione di secondo il mezzorco gli era addosso, con le sue grandi mani artigliate avvinghiate al suo collo, pronto a spezzarlo ringhiò la bestia. Lo Scorpione lasciò la presa della trave, la gravità fece il suo corso, con un colpo di reni si capovolse, atterrando sulle punte dei suoi piedi leggeri, un tonfo impercettibile alle spalle del pelleverde. La mancina afferrò il pugnale dalla cintola sul petto, mentre estraeva la sottile lama, il pollice della mano destra era già intinto di una sostanza nerastra. Con un gesto fluido, perfetto, frutto di migliaia di ripetizioni che lo resero automatico nel corso degli anni, il polpastrello del primo dito della mano destra sfiorò il filo della lama impugnata nella mano sinistra che già stava percorrendo la traiettoria precisa verso la base del collo dello zannuto. Questione di un istante. Come la preda perisce ancor prima che l’artropode abbia ritratto il suo pungiglione ricurvo, il mezzorco stramazzò al suolo ancor prima che lo Scorpione potesse battere ciglio dietro la sua maschera argentata. Uno scambio di sguardi silenzioso, i due presero per le caviglie il bestione e ne occultarono il cadavere sotto il letto a baldacchino della stanza buia. Poi, due micidiali fendenti all’addome di uno dei due. La maschera argentea dello Scorpione riverbera di sangue scarlatto stillato dal corpo del suo ex compare. Non servono i pesi morti in quest’operazione. Dopo pochi minuti, otto ombre si ritrovarono inannzi alla porta blindata, evitando di calpestare le pozze di sangue lasciate dai cadaveri delle guardie. A separarli dalla ricchezza di una vita, 30 cm di metallo fuso in un blocco unico. Al gesto secco della mano dello Scorpione, tre di loro presero posto all’ingresso della stanza in cui si trovavano pronti a fronteggiare eventuali rinforzi di sicurezza. Gli altri quattro, due muniti di alcune sostanze alchemiche e due di trapani a manovella e attrezzi da scasso, aggredirono il muro accanto la porta di spesso metallo, invalicabile. Tuttavia, l’approccio degli scassinatori è quello di aggirare il problema, passando dal muro, rinforzato solo da una piastra di metallo spessa 2 centimetri. Dopo aver perforato il primo strato di pietra dura e calce, corrosero il metallo con poche boccette di acido, terminando con il rimuovere il secondo rinforzo di pietra. I quattro entrarono, seguiti dallo Scorpione. Innanzi a loro si stagliavano intere batterie di forzieri che, aprendoli con poche manovre, risultarono pieni di danaro. Nessun moto di gioia pervade i cinque. La parte dura inizia ora. Le monete cominciarono a fluire nella borsa conservante appositamente comprata. A rompere la frenesia dell’operazione le urla dei tre compagni rimasti di guardia, simili a porci sgozzati. Si voltarono tutti e cinque verso il buco da loro provocato, una figura nera coprì l’apertura ma lo Scorpione, con lancio preciso, conficcò nel corpo due pugnali avvelenati, facendolo stramazzare al suolo. Solo allora una boccetta sferica fluttuò, lanciata, attraverso l’apertura. Lo Scorpione balzò in avanti per afferrarla in tempo prima che si rompesse ma non appena la ghermì un coltello avvelenato si piantò nella sua schiena, volta solo ai suoi presunti compagni. Fece solo in tempo a schiantarsi a terra prima che l’effetto combinato della miscela di gas e del veleno paralizzante agissero sulle sue membra. Buio.

Gli Zentharim
Il risveglio fu traumatico. Per la seconda volta nella sua vita, Aadil si risvegliò in un luogo a lui sconosciuto. A differenza di quando era bambino, però, ora si polsi che mani erano saldamente legati a manette di metallo munite di spine al loro interno. Ogni movimento era un dolore straziante ai polsi. Rimase immobile, per ore. Le perdita di sangue cominciò a rivelarsi cospicua e le sue membra, intorpidite dall’immobilità diventavano sempre più cedevoli, come le palpebre più pesanti. Una spirale di incubi lo attanagliò nel sonno. Le catene oniriche vennero spezzate soltanto quando lo stridio del chiavistello della sua cella scattò. chiese una voce nasale e grottesca. La penombra celava il volto dell’uomo che continuò ad avanzare. furono queste le parole prima che uno stiletto s’insinuasse al di sotto dell’ultima costola di Aadil. Dalle sue labbra inaridite fuoriuscì un mugolio debole, privo di forze e volontà. sibilò la voce. Alle sue spalle sopraggiunse una seconda figura, ben più grande ed incappucciata. Le torture proseguirono per giorni e giorni. Aadil smise di contarli. I polsi e le caviglie dilaniati dalle manette uncinate, il corpo deturpato dalle fini tecniche di tortura applicate su di lui. Gli occhi perennemente chiusi, le labbra spaccate dalla sete, giunture di spalle e bacino dislocate. Nuovamente la vita era prossima lasciare il corpo dell’uomo.
una voce calda, femminile, lo risvegliò dal suo incubo che, dopo aver aperto gli occhi, sembrò non finire lì. Gli occhi troppo stanchi non riuscirono a mettere a fuoco. un sussulto nelle membra del giovane si propagò a sentire il suo nome. una risata argentina seguì queste parole ed attivò la memoria del ragazzo che con sforzo immane fiatò . Buio.
la voce di Iura lo destò di nuovo. Stavolta era steso su un giaciglio rialzato di pietra. Le bende solcavano il suo corpo. continuò la donna Aadil non parlava. Come al solito, ascoltava. . Tutte queste cose erano quasi oscure ad Aadil, nomi che aveva sentito soltanto nominare qualche volta in qualche Fumeria o bettola.

Cardia Antares
L’indomani il corpo del giovane era sufficientemente ristorato da poter camminare con l’ausilio di un bastone ch’egli rifiutò. Trascinandosi seguì il messo vestito di nero che lungo un dedalo di corridoi privi di finestre ed illuminati da sole candele o lampade ad olio. Dovevano trovarsi sotto diversi metri dalla superficie. Il tragitto culminò innanzi ad una pesante porta sorvegliata da due energumeni rivestiti di nero metallo. Le porte si schiusero ed Aadil si trascinò all’interno della sala a denti stretti. Su di lui si posarono diversi sguardi, alcuni di scherno, altri di indifferenza. domandò un uomo dal volto pallido e incavato la risata roca venne rotta da qualche colpo di tosse. L’uomo fece qualche passo verso di lui, sollevò la punta del suo bastone e la pigiò sulle bende che fasciavano la spalla di Aadil. Un mugolio a denti stretti accompagnò un’occhiata di odio nei confronti dell’emissario. fece con fare sospeso l’uomo dotato di bastone inalò aria dopodiché, voltandogli le spalle, disse . l’emissario si voltò verso di lui con un ghigno malefico, schioccò le dita e due uomini lo bloccarono mentre un terzo gli si avvicinò con un ago ardente in mano. sussurrò con sdegno mentre gli veniva inciso a fuoco sul pettorale sinistro uno scorpione stilizzato. gli domandò l’emissario. Una pausa di silenzio, gli occhi su di lui, vagamente incuriositi. rispose Aadil. commentò l’uomo .

NOTE:
-Iura, il nome della donna che salvò la vita ad Aadil, deriva da Iuroidea , un genere appartenente al clade degli Scorpiones (scorpioni).
-I nove individui del furto rappresentano le otto zampe dello scorpione + il suo pungiglione.
-Cardia, il nuovo nome di Aadil è il cavaliere d’oro dello scorpione nella serie Lost Canvas.
-Antares è la stella più luminosa della costellazione dello Scorpione.

SCHEDA:
Nome originale: Aadil Rashad.
Nome dopo l’ingresso nella Rete Nera: Cardia Antares.

Aspetto: Adulto di giovane età. Altezza nella media, fisico asciutto e nervoso. Capelli neri mossi. Occhi verde acqua.
CAR: FOR 12; DES 18; COS 14; INT 16; SAG 14; CAR 13.
Classe: Ladro con archetipo Avvelenatore* (Guida del giocatore, Pathfinder)
Lvl: 8

Abilità: Acrobazia (15); Artigianato – Alchimia (14); Artista della Fuga (9); Cammuffare (6); Conoscenze – Dungeon, Geografia, Ingegneria, Locali, Religioni (4); Diplomazia (9); Disattivare Congegni (12); Furtività (15); Intimidire (12); Intuizione (12); Linguistica (8); Percezione (13); Raggirare (12); Rapidità di mano (12); Sapienza Magica (5); Utilizzare Congegni Magici (9); Valutare (11).
Capacità: Competenza in Armi e Armature; Attacco (n.livello/2 (=4) d6 per ogni attacco furtivo o al fianco); Uso dei veleni* (non si avvelena se fallisce l’uso di un veleno); Avvelenatore esperto*(prova di alchimia per cambiare tipo di veleno (contatto, ingestione, ferimento); Eludere (anziché dimezzar non subisce danni se supera CD Riflessi); Schivare Prodigioso e S.P. Migliorato (non perde Des alla CA se colto di sprovvista e non può essere fiancheggiato); Doti da ladro (n.livello/2) (=4)).

Doti da ladro: Espediente (talento bonus); Accuratezza (arma accurata: usa Des anziché For per txc di armi leggere); Attacco Sanguinante (+1 danno da sanguinamento x ogni furtivo (=+4 danni sanguinamento ad attacco)); Veleno Rapido (applicare veleno occupa solo azione di movimento anziché round intero).
Talenti: Colpo vitale (raddoppia dado danno al txc con risultato più alto); Combattere con 2 armi (-4 txc prima mano, -4 txc seconda mano); Comb. con 2 armi Migliorato (secondo attacco a seconda mano); Doppio taglio (bonus For al danno della seconda mano è pieno e non dimezzato); Difendere con 2 Armi (se impugna 2 armi +1 CA); Arma accurata (vedi sopra); Estrazione rapida (estrazione azine gratuita, vale anche per armi da lancio).

NOTE: Se arma in mano secondaria è leggera il malus di Comb con 2 armi decresce di 2 per entrambe le mani. (pg 207).
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